Aluisio di Venicecom: «In questi giorni è molto utilizzato dalle grandi aziende. Per le Pmi serve un salto culturale»
La CRISI del Corona Virus rappresenta oggi da un lato un PERICOLO (non solo dal punto di vista sanitario, ma anche in relazione al rallentamento dell’economia e alla conseguente perdita di posti di lavoro), ma dall’altro lato una grande OPPORTUNITÀ di utilizzare di più lo smart working come metodologia abilitante l’evoluzione della cultura e dell’organizzazione del lavoro per obiettivi, in ottica green.
Ma ad una condizione: è necessario che le aziende siano in grado di fissare precisi obiettivi per il lavoro da remoto, misurando il proprio personale solo sui risultati quantitativi raggiunti e non sullo sforzo o sulla presenza fisica al lavoro.
Il nostro Presidente Pierluigi Aluisio, intervistato da Francesco Furlan de La Nuova Venezia, racconta il punto di vista di Venicecom Group in un’interessante riflessione, ponderata e consapevole.
«Oggi si parla di smart working come opportunità per fare fronte a una situazione eccezionale ma questa può essere l’occasione per riflettere e introdurre forme innovative di organizzazione del lavoro». Ne è convinto Pierluigi Aluisio, a capo di Venicecom, azienda fondata nel 1997 con sede principale in via della Pila a Porto Marghera, società che potrebbe essere definita una multinazionale tascabile, e che si occupa, tra l’altro, di piattaforme e software per la gestione del personale, con clienti come Generali, Eni o, per restare in città, Actv. Nei giorni scorsi un decreto del presidente del Consiglio dei ministri ha introdotto la possibilità di attivare la modalità di lavoro “agile” anche in assenza di un accordo individuale, nelle aziende private e anche nelle pubbliche amministrazioni. «Come tutte le crisi», sostiene Aluisio, «anche questa si può trasformare in una opportunità».
Aluisio, passare da un giorno all’altro dal lavoro in ufficio allo smart working. Ma come si fa?
«Nelle grandi aziende, quelle che hanno a disposizione piattaforme e software per garantire ai propri dipendenti di lavorare tranquillamente da casa, o da qualsiasi altro posto, in questi giorni lo smart working è aumentato. Lo vediamo, per fare un esempio, dall’assistenza che prestiamo. Le telefonate non ci arrivano più dalla postazione dell’ufficio, ma dai telefonini dei dipendenti. Possono lavorare da casa come se stessero in ufficio». Una riflessione valida solo per alcune categorie di lavoratori. «Certo: se devi guidare un autobus a lavorare al tornio devi andare in azienda. Ma sono molti di più di quanto si pensi i lavoratori che possono usufruire dello smart working. Penso all’ amministrazione pubblica: ci sono programmi che permettono di seguire da casa le gare d’ appalto. Firme elettroniche e certificati digitali si possono fare ovunque».
Quali sono i ruoli che più si prestano?
«I ruoli manageriali, che spesso sono i primi a chiedere questa opportunità, e le figure operative che si occupano per esempio l’assistenza dei clienti o della scrittura di codici, i cui obiettivi sono sempre misurabili. Per ciò che riguarda le figure intermedie è molto più complicato, dipende dalla necessità di coordinamento all’ interno di uno staff, dalla necessità di lavorare in squadra. In ogni caso è sempre meglio alternare giornate di smart working e giornate in ufficio, per evitare che si sfilaccino le relazioni, mantenere il rapporto tra azienda e dipendente».
Quanti dei suoi dipendenti usufruiscono dello smart working?
«Da quando è scoppiato il coronavirus siamo ai due terzi dei manager e a un terzo del personale operativo».
Le grandi aziende sono attrezzate. Ma le Pmi che costituiscono il tessuto veneto?
«Nelle piccole e medie aziende ci sono due ostacoli: il primo è la scarsa digitalizzazione di molte imprese. Il secondo riguarda la cultura degli imprenditori, in certi casi el paròn che ha bisogno di vedere tutti al lavoro in ufficio. I manager più moderni sono portatori di una leadership più innovativa, in cui il concetto di responsabilizzazione dei lavoratori si sostituisce a quello di controllo. Il risultato dei lavoratori si deve misurare sulla base degli obiettivi raggiunti, non delle ore che stanno seduti in ufficio. Ma la capacità delle aziende deve essere anche nella capacità di fornire obiettivi chiari e precisi. Spesso non accade».
C’è anche un problema di rete infrastrutturale?
«No, per ciò che riguarda il Veneto questo problema non c’è».
Nella sua esperienza qual è la reazione dei lavoratori a questo tipo di rapporto lavorativo?
«Nella maggior parte dei casi positivo. Raggiungere il posto di lavoro, soprattutto nelle grandi città, costa soldi e tempo. E in molti casi c’è il pasto fuori casa. Ci sono però anche dei casi di insuccesso perché nel lavoro da casa i dipendenti devono essere in grado di organizzarsi, è un’opportunità che bisogna saper gestire».
Se dovesse decidere, lo smart working conviene di più alle aziende o ai dipendenti?
«Non li voglio mettere in contrapposizione. Lo smart working permette alle aziende di cambiare mentalità, fissando obiettivi che deve essere capace di misurare. Ma permette anche, banalmente, di risparmiare sul costo delle sedi di lavoro. I lavoratori hanno la possibilità di gestire meglio l’orario di lavoro, ma hanno una maggiore responsabilità nell’organizzarsi la giornata».